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Tocco dal Nume degl’ingegni, mando
Mattutine dal sen voci canore.
     Tu ridi, Amico: tu, che gli anni muto,
Come un abitator dell’onde, vivi,
E pur nascesti per cantar qual bianco
Del suol, del ciel, dell’acque ospite cigno.
Dunque un Mevio, ed un Bavio entro le mie
Non colpevoli orecchie i lor malnati
Versi non versi lancieran mai sempre;
E tu, amor delle vergini di Pindo,
Tu, vero fabbro di perfetti carmi,
Starai dormendo su la fredda incude?
So, che il desio di quel rimbombo vano,
Che detto è lode, un saggio cor non move:
Ed io pure squarciai per tempo il velo,
Magico velo, sotto a cui le cose
Di bugiardo splendor si tingon tutte.
Ma quel musico alato, che rinchiuso
In aerea prigion dal tetto pende
Della stanza vicina, Amico, il senti?
È forse amor di sospirata lode,
Che gli affatica sì la crocea gola?
Così ancor del mio petto escono all’aura
Le armonizzate voci; e su deserta