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gliarsi «che fuori d’ogni ragione non si vedessero impresse.»1

Ed in vero, benchè nel Rinuccini apparisca evidente e continua la imitazione, pure nel suo imitare fu assai felice, ed alcune di queste sue poesie ci sono sembrate vaghe e gentili, quanto esser possono quelle del Montemagno e del Conti, e di altri che hanno luogo bello ed onorato nel nostro Parnaso.

Per questa ragione ci proponemmo di publicarle, del tutto affidandoci al Codice XXXVIII Gaddiano, ora Laurenziano, di cui si ha qui nella Publica Libreria di Lucca una fedelis-




  1. Fuori del sonetto che comincia
    «Chi è costei, Amor, che quando appare»
    che publicò per saggio lo stesso Crescimbeni, e della breve ballata
    «Che giova a innamorar degli occhi vaghi»
    publicata dal Trucchi nella sua raccolta II, 143, non conosciamo altro di stampato col nome del Rinuccini. Anche il sonetto
    «In coppa d’or, zaffir, balasci e perle»
    trovasi impresso, ma sotto il nome di Nicolò Tinucci, e probabilmente a torto. Alcuna altra composizione sarà forse stampata o come sua, o attribuita ad altri; ma troppo sarebbe difficile in questa materia affermare alcuna cosa di certo.