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XXVIII.


Quand'io mi vo' ridurre a la ragione
     e rafrenar lo grande intendimento,
     né non pur seguitar lo van talento,
     che tutte cose mena a perdizione,

trovo l'animo mio d'oppenione
     che meglio posso a me donare abento,1
     e riconoscer via di salvamento,
     che quand'i' penso aver cuor di leone.

Chè la ragion lo dritto core appaga
     tollendoli la cura delle cose,
     che non son né non debono esser sue;

ma lo vano penser, che s'usa piue,
     le n'apresenta tuttor amorose,
     e la più vii ne mostra che sia vaga.


XXIX.


Per questo, amico, ch'io t'agio mostrato,
     lo qual mi sembla che sia dirittura,
     ti vo' pregar co' la mia mente pura
     ched e' ti piaccia ricever in grato

in questa vita quanto ch'aportato
     ti fia o di sollazzo o di rancura,2
     e di te metter tutto a la ventura,
     ben operando tuttor dal tu' lato.

E sovra tutto ancor pregar ti voglio
     che ti riduchi a quell'intendimenti,
     là dove credi di legier venire.

Quegli altri grandi, per Dio, lascia gire:
     chè sempre vedi li maggio talenti
     muovere da soperbia e da rigoglio.

  1. Riposo - Siciliano: abbentu.
  2. Dispiacere - prov.: rancura - franc. ant.: rancune.