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Ciò rivela quindi essere questo più che tutto un uso del Cavalcanti e mi pare argomento di non lieve importanza. Donde l’origine? Io credo dalle rime di Monte d’Andrea di Firenze e di ser Polo Zoppo di Bologna dirette al primo, le quali hanno questo sistema di rime più la chiave e la rima alternata nelle quartine:

a b a b — a b a b — ab — c d e — e d c.

La rima alternata ci rivela una maggiore antichità in questa forma, mentre Dante e Guido preferirono1 la forma baciata.

Il trattatista quindi avrebbe rinnovato l’antica forma di Monte, riducendo il sonetto a la forma più pura senza la chiave: sarebbe quindi ancora anello di congiunzione, per la parte formale, fra l’antica scuola e lo stil nuovo. Questo, più che ad altro poeta, conviene per l’età, in cui visse, a Guido Cavalcanti.

Dante scrive nella Vita Nova: «... ond’io divenni in picciol tempo poi di sì frale e debole condizione che a molti amici pesava della mia vista: e molti, pieni d’invidia, già si procacciavano di saper di me quello ch’io voleva del tutto celare ad altri. Ed io accorgendomi del malvagio addomandare, che mi facevano, per la volontà d’Amore, il quale mi comandava secondo ’l consiglio della ragione, rispondeva loro che amore era quegli che m’avea così governato: diceva amore, perchè io portava nel viso tante delle sue insegne, che questo non si potea ricoprire. E quando mi domandavano: perchè t’ha così disfatto questo amore? - ed io sorridendo li guardava e nulla dicea loro». Queste parole sono in relazione innegabile con il sonetto già citato interamente: «Alcuna gente part’io mi dimoro etc.» e dipingono uno stato d’animo molto simile.

Più innanzi nella Vita Nova Dante è travagliato da vari pensieri: - «l’uno de’ quali era questo: buona è la signoria d’amore perocchè trae lo ’ntendimento del suo fedele da tutte le rie cose. L’altro era questo: non è buona la signoria d’amore perocchè, quanto il suo fedele più fede gli porta, tanto più gravi e dolorosi punti gli convien passare» - e questi pensieri e questa vana vicenda d’amore sono pure espressi dal poeta del trattato, e certo anche da Guido Cavalcanti nel sonetto a la morte che fu staccato dai suoi compagni e fu riportato da tanti codici:

Amor, perchè fai mal pur sol a’ tuoi?

Dopo la canzone: «Donne che avete intelletto d’amore» Dante è interrogato da alcuno amico di dire che è amore: «onde pensando .... che l’amico era da servire» disse: «Amor e ’l cor gentil sono una cosa». La relazione con il trattatista qui è ben palese e confrontando le due definizioni si vede chiaramente come il trattatista mova da mº Francesco e Dante dal Guinicelli.

Il movimento del ragionare non è uguale. Dante determina il soggetto, in cui sta la potenza, che è il cuore gentile: secondariamente stabilisce la contemporaneità, onde il cuore gentile è tale per amore, ed amore vi posa, perchè il



  1. Heinrich Welti: Geschichte des Sonettes der deutschen Dichtung - Leipzig - Veit, 1884.