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l’imitatore sarebbe dei tempi posteriori al principio del 1300, il che sarebbe incompatibile con l’età del codice vaticano. L’argomento anzi si ritorce, non potendosi credere che le imitazioni, che sarebbero quindi a carico di Dante e di Guido, sieno state tratte se non da un poeta che Dante molto apprezzasse come Guido era veramente, unico fra i poeti che lo precedettero.

Sonetto II.

Se unqua fu neun che di servire
acconcio fosse ben lo suo volere
a ciaschedun secondo ’l su’ volere,
sì son io un di que’ che v’à ’l disire;
e ch’amerei innanzi di morire
che di no dir, faciendone spiacere
di cosa, in ch’io potesse mantenere
l’amico a me senza farlo partire.

le quali parole appare tosto dover esser poste a confronto con quelle del Boccaccio su Guido: » ... et a chiedere a lingua sapeva onorare chiunque nell’animo capeva che il valesse1».

Sonetto III.

Perfetto onore, quanto al mi parere,
non puote avere chi non è soffrente......

che si può raffrontare con la stessa espressione del Cavalcanti2:

se la soffrenza lo servente aiuta
può di leggier conoscer nostro stile...

Qui parrebbe primieramente apparire questo sentimento della sofferenza amorosa propria del perfetto onore. Questo sonetto, che è a rime interne, diede occasione a l’Ercole di osservare che mai Guido portava simili metri nei sonetti. Nè pure gli altri del suo tempo ne fecero uso mai; un esempio isolato è in un sonetto del Guinicelli, che ha le rime interne nelle terzine3; il che riporta quest’uso ai tempi antecedenti un poco ai giorni del fiorire completo della scuola dello stil novo, ai tempi cioè della giovinezza di Guido Cavalcanti. Del resto se

  1. Decamerone: VI, 9.
  2. Sonetto a Dante. «Se vedi amore etc.».
  3. Vedi: Salvadori, op. cit. pag. 78. È il sonetto: «Sì sono angoscioso e pien di doglia» — Casini: Poeti bolognesi e romagnoli - 1881, pag. 36.