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è, che non possa essere opera di Guido, nè essa ha alcuna relazione con le rime di Jacopo; anzi a me pare conservi quella vaghezza quasi imprecisa di amoroso sentire che è tutta propria dei migliori poeti dell’età. La prima strofa rappresenta quel concetto di sovranità eccellente, che Guido e Dante ebbero delle lor donne e corrisponde del tutto al:
Poi che di tutte sete la migliore
che il Cavalcanti scrive pure parlando delle donne circondanti la donna amata. Questa diversità di carattere artistico fra le due ballate dovrebbe trarre a la supposizione che la confusione dei nomi fosse colpa del menante di Ca, come fece l’Ercole con una ipotesi ch’io credo insostenibile e fece l’Arnone che volle leggere o per et senza alcuna giustificazione ed il Monaci approvato dal Salvadori che ridusse l’et ad un a, totalmente smentito dal contenuto della ballata; il fratello non c’entra per niente. Io credo invece che in un codice primitivo, da cui Ca tolse le due ballate, la rubrica fosse in testa a le due composizioni riunite intendendosi che la prima era di Guido e la seconda di Jacopo; il menante di Ca per maggior diligenza poco intelligente ripetè la rubrica in principio di ognuna delle ballate. La prima quindi io ritengo di Guido e la seconda escludo come appartenente a Jacopo, tratto a questa conclusione, oltre che da l’esame estetico, da l’autorità del Libro Reale, confermata da la Giuntina che forse la prese da altra fonte, i quali due testimoni assicurano la autenticità della ballata:
Io vidi donne con la donna mia...
in confronto dell’altra, ch’essi non annoverano fra le rime di Guido.
Nei due codd. M’a M’b trovasi una serie di quattordici sonetti1, tra i quali due da molti altri codici attribuiti a Guido, che seguono le rime portanti il nome del nostro. Il copista di M’b sembra aver fatto opera di selezione in confronto di M’a, poichè omise tutte le canzoni dimostrate apocrife e si riprese ai sonetti e continuò la serie degli adespoti fino a tutto il 7° oltre il frammento iniziale: poi troncò la trascrizione là dove M’a portava la rubrica: Guido Cavalcanti a Dante — I sonetti presentano una forma rammodernata, sotto la quale
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Così mi aviene donna mia valente....
Lasso sovente la vostra amistate....
Come all’infermo che giace m’aviene....
Lo gran tormento che ’nseme patemo....
Non posso più soffrir tanto martire....
L’oscura morte voria che venisse....
Al povero gentil e vergognoso....
* Io vegno il giorno a te infinite volte....
Sonar bracchetti cazzatori izzare....
Tutto lo mio desio aggio en lo flore....
* Se tu vedessi amor, ti prego, Dante....
Hormai ben veggio che lo mio solaccio....
Mio intendimento è posto tanto altero....
Al mondo non è cosa ch’aggio in core....