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a Dante.


Io vengo il giorno a te infinite volte
     e trovoti pensar troppo vilmente:
     allor mi dol de la gentil tua mente
     4e d’assai tue virtù che ti son tolte.

Solevanti spiacer persone molte,
     tuttor fuggivi la noiosa gente,
     di me parlavi sì coralemente
     8che tutte le tue rime avei ricolte.

Or non ardisco per la vil tua vita,
     far mostramento che tu’ dir mi piaccia,
     11nè vengo ’n guisa a te che tu mi veggi.

Se ’l presente sonetto spesso leggi
     lo spirito noioso che ti caccia
     14si partirà da l’anima invilita.

Primari Ca, Va, Ms il quale si oppone in parte a gli altri due: ma la mutazione di «piaccia: caccia» in «piace: tace» che non ha riscontro in A pur tanto simile ad Ms, mi fa dubitare della sua purezza per questo sonetto: onde ritengo la lezione di Ca, Va che pur rappresentano due diverse correnti in perfetto accordo.