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a Giovanna.


Chi è questa che ven ch’ogn’om la mira
     e fa tremar di chiaritate l’a’re,
     e mena seco amor sì che parlare
     4null’omo pote, ma ciascun sospira?

O Deo, che sembra quando li occhi gira
     dica’l Amor, ch’i’ no ’l savria contare:
     cotanto d’umiltà donna mi pare,
     8ch’ogn’altra ver di lei i’ la chiam’ira.

Non si poria contar la sua piagenza,
     ch’a lei s’inchina ogni gentil virtute,
     11e la beltate per sua dea la mostra.

Non fu sì alta già la mente nostra
     e non si pose in noi tanta salute,
     14che propriamente n’aviam canoscenza.

Originali sono Va e Ca. Io ritengo, a differenza dell’Ercole, la lezione di Va come quella che appare molto più pura. Ca infatti ha qualche verso contro misura (v. 14). Al v. 5 il «de» è dato dai suoi seguaci come «do» quindi parrebbe riferito al «deo» di Va. Al v. 6 Va dà «savria» in confronto di «poria» che poi sarebbe quindi ripetuto al v. 9. Così al v. 13 è salvata con la versione di Va la ripetizione della rima «vertute» che è in Ca: Guido evitava le rime equivoche simili. Quanto al v. 4 Ca dà una forma contro misura e l’Ercole si servì della correzione molto discutibile criticamente dei codici secondari. La forma invece del verso è completa in Va e l’espressione «null’omo» ha altrettanto valore per testimonianze arcaiche quanto il «om» di simiglianza francese.