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LVIII.
L'attender, ched i' faccio con paura,
mi tene in pensamento tuttavia;
ma la speranza, in che 'l mi' cor disia,
4alcun pochetto in ciò mi rassicura.
Chè sanza fallo pena tanto dura
como l'attender non credo che sia,
nè dolce medicina, in fede mia,
8come per isperar fae om sicura
la vita sua ne lo dolce pensero,
che a ciascuno amante dona amore,
11senza lo qual seria morte la vita.
Similemente in me aggio partita
la dimoranza, ch'i' faccio mant'ore,
14fuggiendo la paura e sperar chero.
LIX.
I' sì vorrei così aver d'amore
ben ed onor, com' io li son leale,
e, s' io son lo contraro, averne male
4in simil guisa e greve pentigione.
Nè non sarebbe ciò contr'a ragione,
secondo il mi' parer, ma cosa iguale;
ma non vo' dir di voi, amor, cotale
8che vivere mi fate in pensagione.
Perchè dovete aver più segnoria,
la qual mi piace ben che voi agiate,
11a ciò che la seguiate con onore.
Chè 'n tutte cose, dolce mio amore,
conven che gientil core aggia pietate
14ch'umili stanno e aman cortesia.