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XXXVIII.
De! che ho detto di tornare in possa!
Non so come ciò adivenir potrebbe.
Altro che Cristo ciò far non saprebbe,
sì m'è da ogne parte la gioi' scossa.
Ai! tristo me, come fu mala mossa
quella che 'l mi' disir per mi' danno ebbe;
poi che fermo in sé non tornerebbe
verso di me, se 'n pria la buccia e l'ossa
non fossen una cosa sanza carne
ben consumate con asciutti nerbi.
Ed io, lasso, di ciò tuttor mi peno.
Oi! me dolente, s'i' desino o cieno,
puot'uom pensar son li miei cibi acerbi
e contr'a me, pur ch'io saccia trovarne.
XXXIX.
Nessuna cosa tengo sia sì grave,
in verità, né di si gran molesta
come t'attender, che lo cor tempesta
più forte che nel mar turbato nave.
E quanto, al mi parer, sì mal non ave
chi ismarruto truovasi 'n foresta,
benché veggia venir la notte presta
e senta fiere cose onde tem'ave,
che chi attende. Cierto è maraviglia
come non si smarrisce nel penserò
o come non percuote il capo al muro.
Quei, ch'è 'n mare o 'n foresta, istà sicuro
di tosto esserne 'n capo o campar vero;
ma qua' ch'aspetta morendo sbadiglia.