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Quivi è più ratto di Fortuna il giro,
     Che ’n altra parte; e col veloce moto
     Rende ogni bel pensier d’effetto voto
     Schernendo l’altrui speme, e ’l van desiro.
Di rado avvien, che tra le gemme, e l’ostro
     Posi Virtù; che rari son coloro
     A cui sia grato più ’l saper, che l’oro
     Colpa del cieco avaro secol nostro.
I gran Regi, e gli Augusti han sol contento
     D’esser possenti; e che lor forza estrema
     Riverente ciascuno inchini, e tema,
     Poi de l’esser temuti hanno spavento.
Fuggi le Corti ove menzogne, e frodi,
     Odio, & Invidia rivolgendo il tergo
     Al giusto, ed à la Fede, han preso albergo,
     E le proprie ricchezze in pace godi.
Riedi al tosco terreno, ove t’aspetta
     Dolce riposo. te chiaman le Dive
     Sì grate à Febo, te piangon le rive
     D’Arno, e d’amici saggia schiera eletta.
Là trà fiorite valli, e verdi poggi
     Al dolce suon de’ garruli augelletti
     Gusterai di virtù gli almi diletti,
     Ond’avverrà, ch’à maggior gloria poggi.


SONETTO LXXI.


O
Ve son lusinghier quelle soàvi

Preghiere? ù son le lagrime, che ’l volto
     Sì spesso ti bagnar? deh come hai sciolto
     Quel cor di cui già tenni in man le chiavi?
Qual altro fia, che più in amor t’aggravi
     Error? s’ad altra il pensier vario hai volto,


S’à