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Alla Illustrissima Sig.ra
PLACIDIA GRIMALDI.
SONETTO LXII.
In cui sia pregio, e magistero accolto
Meraviglia non è, che nobil volto
Scopra d’alma beltà ricchi tesori;
Ma che trà foschi, e tenebrosi horrori
D’oscuri manti, e negre bende involto
Fiammeggi un guardo sì, ch’ogni più sciolto
Cor preso resti, e viva in dolci ardori;
Miracol novo, e raro al Mondo parmi,
Ed è; poiche non pon bellezze meste
Beàr l’alme, od aprir profonde piaghe.
E pur tua gloria è questa. hor se di vaghe
Spoglie adorni Placidia il bel celeste
Arderai, ferirai le nevi, e i marmi.
SONETTO LXIII.
Borea crudel; ma benc’horrido, e fiero
Sia tanto, ei già non frena il mio pensiero,
Nè fia, che ’l suo rigor temer mi faccia.
Hor segue il piè del mio desir la traccia,
Onde quetar lunghe fatiche io spero
Per lui, ch’è di virtute essempio altero,
Per lui, ch’ogn’alma in cari nodi allaccia.
Tenti l’estremo suo l’alpina asprezza,
Sia quanto vuol canuto Verno algente.
Vincesi il tutto col favor divino.
Invan |