Rie procelle
Turbatrici d’ogni bene.
Io credèa, che ’nfausta sorte,
Doglia, e morte
Sostenesse un cor lontano
Da la mano, che ’l saetta,
Che l’aletta,
Per cui piange, e stride in vano
Io credèa quando sdegnose
Le amorose
Luci il vago afflitto mira,
E sospira, fosse questa
Pena infesta
Sol cagion di sdegno, e d’ira.
Io credèa, che ’n fier tormento
Il contento
Si cangiasse d’un’amante,
Che ’l sembiante amato perde,
Onde ’l verde
Fugge al fin di speme errante.
E stimai, che senza essempio
Fosse l’empio
Fato (ohime) di quel dolente,
Che languente non hà pace,
E si sface
Ne l’incendio vanamente.
Ma godendo non pensai,
Che trar guai
Da sue gioie un cor devesse,
O potesse nel gioire
Sì languire,
Ch’à doler d’Amor s’havesse.