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Troppo acute saette in me disserra
L’aspro dolor, che’n disusata foggia
Mi strugge l’alma: e sol di pianto hà sete.
Deh segua almen, che la continua pioggia,
Ch’amarissima ogn’hor lumi spargete
Termini un dì sì perigliosa guerra.
SONETTO XXVIII.
Ond’hoggi ancor par, che n’avampi il prato;
Quì d’acute saette il sen piagato
Hebbi; ed altrui del mio dolor non calse;
Quì pur lagrime usciro amare, e salse
De gli occhi tristi; e ’l cor duro, e gelato
Mai non piegar. fù sua durezza, ò Fato,
Ch’amor, fede, e fermezza a me non valse?
Lasso, fù mio destin, ch’empio m’offerse
Tigre selvaggia sotto humil sembiante
Di cui più dispietata altri non scerse.
Ma perch’essempio i’ sia d’ogn’altro amante
Dite voi quel martir, che ’l cor sofferse
Fere, augelli, antri, rivi, ombre, aure, e piante
SONETTO XXIX.
Puoi farti nel mio sen, cresci, poich’io
Ogni cura mortal posta in oblìo
Me stessa abbello in sì gradito ardore;
E tanto veggio al Ciel ergersi il core
Quanto s’avanza il vivo incendio mio;
Cresci dunque ardentissimo desìo,
E ’n tè consumi ogni sua face Amore.
O quai |