Pagina:Rime (Andreini).djvu/276

264

     Ogni piacer andato hò sempre in mente;
     Che le passate gioie
     Non si scorda giamai fedel Amante.
Ecco l’altr’hier m’assisi
     Sopra la molle herbetta,
     Che di fiori ingemmata
     Rende più vago il fonte,
     Che da la sua chiarezza il nome prende;
     E quivi tutti quasi innanzi à gli occhi
     Mi ridussi i piaceri,
     Ch’io v’hebbi teco, e quivi
     Altrottanto infelice
     Quanto felice fui.
     In mestissimo suon versi cantai.
     Mesto, ma però grato
     A le selvagge Dee,
     A i boscarecci Fauni,
     A gli hirsuti Silvani,
     A i Satiri lascivi, e ’n somma à quanti
     Habitan boschi, monti, grotte, e valli;
     Che tutti à i lagrimosi
     Miei carmi ratti accorsero pietosi.
     Ma tù benche i’ sia tale,
     Che cantando, e scrivendo alzar io possa
     Di Clori il nome à le dorate stelle
     Non mi stimi; anzi cruda hor godi, poi
     Che non m’inspiran più versi leggiadri
     Le antiche Muse; ch’albergar non ponno
     Trà tanti affanni; e già la stanca lira
     Negletta pende, e le scordate corde
     A l’ingiurie avanzate di Fortuna,
     Mentre piangendo le miserie mie


Con