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SONETTO CLXXXIX.
Che vil massa di fango atra, ed impura
In questa Valle di miserie oscura
A tanti errori, à tante colpe unita;
Io pur Signor son del tuo grembo uscita,
Son pur signor de le tue man fattura;
Scorgimi dunque, e di me prendi cura,
E dammi al ben’ oprar pietosa aìta.
Quell’età, ch’assai può, ma vede poco,
Che d’insani pensier mai sempre abonda
O Monarca del Ciel perdon m’impetri.
S’accenda l’alma del tuo santo foco,
E di questi occhi miei la tepid’onda
L’ostinata del cor durezza spetri.
SOLETTO CXC.
A tè Padre del Cielo humil ne vegno.
Deh non haver quel, ch’io ti sacro à sdegno.
Ma pon mente à l’interno alto desìo.
A tè sacro l’affetto del cor mio,
E i frutti ancor del mio mal colto ingegno.
Sò che picciolo è ’l don, so, ch’egli è ’ndegno.
Di tè vero Monarca, e vero Dio.
Mà se tù non ricusi ò sommo bene
D’accorlo nel tuo sen di grazia pieno,
Degno farallo il tuo favor divino.
Pianta così se trasportata viene
Da Monte alpestre ad un Giardino ameno
Nobil frutto produce, e pellegrino.
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