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Già non dei tù di viè più gravi ardori
Temer così; che di beàr non tenti
Mè di tua vista, e de’ soàvi accenti,
Onde l’aure addolcisci, e ’l Mondo honori.
Ne’ giorni estivi trà notturni erranti
Splende vaga Lampiri, e ’l foco stesso
Rassembra e nulla scalda; e tal son’io.
Ma se per me lontano arde il desìo.
Hor non è privilegio de gli Amanti
L’arder da lunge, e l’agghiacciar dapresso?
DEL SIG. GHERARDO BORGOGNI
l’Errante Accademico Inquieto di Milano.
SONETTO CLXXV.
Ammiri, & have per teàtro, e scena
Italia, e ’l Mondo; e d’eloquenza piena
E de’ socchi, e coturni illustre vanto;
Hor con l’eburneo plettro, ed hor col canto
Teco s’agguaglia; e qual del Ciel Sirena
Move gli accenti con sì dolce vena,
Ch’altri col carme non poggiò mai tanto.
Siale tù dunque degno Padre, ed ella
A te sia figlia; e queste carte, e ’l nome
Sièn d’alto grido un’immortal tesoro.
Vada co’ lustri à par l’alma Isabella,
E le sia fregio à l’honorate chiome
De la tua Dafne il sempre verde alloro.
Risposta.
SONETTO CLXXVI.
Spieghi un de’ raggi tuoi su questa scena
Alhor |