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Lagrime di dolor per tè versài,
E ’n rapid’onda la mia pena scrissi;
Per tè languendo in fiera morte io vissi,
E mercè invano al servir mio sperai,
Per tè sommersa al fin (lassa) restai
Ne i penosi d’Amor profondi Abissi;
Ma se tropp’arsi, e fui leale amante,
Ben hor cangio pentita e voglia, e stile,
E del mio vaneggiar meco mi sdegno.
Ah più non sia, che del mio duol ti vante.
Vegg’hor mio fallo; e sò che al cor gentile
Servitù disprezzata è giogo indegno.
In morte del Sig. Torquato Tasso.
SONETTO CLXIX.
Ond’è, che rugiadoso ognun il ciglio
Danna di Morte il dispietato artiglio,
C’have d’Apollo il maggior lume spento?
La nostra gloria, il gran Torquato io sento
Gridar miseri è morto; è morto il figlio
De l’alte Muse, onde l’amaro essiglio
Ogni nostro piacer volge in tormento.
Chi la mente v’accieca egri mortali?
Morir può quei, che col suo divo ingegno
Rese à l’Eternità mill’altri eguali?
Saggio il Tasso aspirando al santo Regno
Spiegò celeste Cigno altero l’ali
Lasciando il Mondo di sua luce indegno.
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