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Hor non mi turba più sogno fallace,
Vero mi sembra il vero, ed ombra l’ombra;
In tutto son’ homai d’affanno sgombra,
Ed hò co’ miei pensier tranquilla pace.
Non reggo à l’altrui voglia il voler mio,
Son di me Donna, e non mi turba un volto
Severo, ò mi rallegra un riso, un detto.
Angoscioso martìr, folle desìo,
Ira, pianto, furor, tema, ò sospetto
Non fan più guerra al cor libero, e sciolto.
SONETTO CLXV.
L’avaro Tempo, ch’ogni cosa atterra,
E quel bel volto quasi arida terra
Fenda crudel col vomero de gli anni
Pietà vi mova di que’ lunghi affanni,
Che fanno al cor sì disperata guerra;
E l’alma, che per voi s’afflige, ed erra
Spieghi per l’aere d’alta gioia i vanni.
Cruda à voi stessa, io ben conosco, e sento,
Che ’l bel sembiante, c’hò nel petto impresso
Perde la sua beltà nel mio tormento.
Amate dunque, e ’l ben, che v’è dapresso
Pigliate anzi, ch’i’ fia di vita spento;
Ch’altro amor non mantien, ch’Amor istesso.
SONETTO CLXVI.
Habbia invano sofferte; io pur contento
Vissi; e nel colmo del maggior tormento
Trassi del viver mio l’hore tranquille.
Godèa de l’ardentissime faville,
Nè mai proruppi in doloroso accento:
N Incauto |