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SONETTO CLVI.
Pur vago di veder l’almo sembiante
Per cui versat’ho già lagrime tante
Nè sà, ch’egli è nud’ombra, e poca polve.
Ahi se ’l Ciel questo ’ncarco non dissolve,
Come spero veder sue luci sante,
Se ’l tolse ratta à questo Mondo errante
Colei, che ’l tutto in un silenzio involve?
Ma se tu me ’l togliesti invido Fato
Non farai già, che morto ancor non l’ami;
Che vero amor non può cangiar mai stato.
Così dolente i morti aridi rami
La vite abbraccia del suo tronco amato,
E par, che lagrimando in vita ’l chiami.
SONETTO CLVII.
Che ’n soàve prigion tenne il cor mio;
O gradito de gli occhi inganno, in cui
Lieta del vaneggiar pasco il desìo;
O possenti colori hoggi per vui
Riveggio pur quegli occhi amati, ond’io
Hor tutta gioia, hor tutta doglia fui,
Gli occhi, cui non può torme unquà l’oblìo.
Ben di mirarli questo lume è vago,
L’alma non già, perche da me divisa
Là sempre vive, ov’è ’l mio ben sepolto.
Ma come entro ’l mio cor leggiadro volto
Mentre l’avido sguardo in te s’affisa
Spira verace ardor tua finta Imago?
MAD. |