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     Da crud’Aspe attendèi pietosa aìta.
     Hor qual fù amando più ’nfelice stato?
Pur al fin l’ardentissime faville
     Estinse il tempo, e diè termine al pianto
     Recando al viver mio l’hore tranquille.
Sua mercè lieta hor son se non se ’n quanto
     Me stessa incolpo e mille volte, e mille,
     Ch’à pentirmi (dolente) io tardai tanto.


SONETTO CLII.


D
A me nasce il mio male, io la radice

Son de le mie sventure; ah se ’n mia mano
     E la salute, à che non sciolgo insano
     Quel, che mi stringe sì nodo infelice?
S’io me stesso legai; perche non lice
     A me disciormi? io sol l’antico, e strano
     Giogo homai rompo; e non sarà, che ’nvano
     Tenti il sentier, che mi può far felice.
Chi sforza il voler mio? chi mi contende
     Mia libertà? chi toglie a me l’ingegno?
     Io sol mentr’amo quel, che più m’offende.
Spegnerà dunque l’empio foco indegno
     Giusta Ragion, che ’n me giust’ira accende,
     Saggio consiglio, e generoso sdegno.


SCHERZO IX.


M
Ovèa dolce un zefiretto

I suoi tepidi sospiri:
     E lasciando l’aureo letto
     Fiammeggiò per gli alti giri
     L’ Alba; e ’l Mondo colorìo
     Mentre rose, e gigli aprìo.
Quando Ninfa Amor m’offerse,
     Ch’adornò d’altr’Alba i campi.


Forse