Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
170 |
Ond’io temei d’incenerir sovente,
Quand’altri il mio languir prendeasi in gioco.
S’intrpidì ben la mia fiamma un poco
Nel fuggir de’ begli occhi il raggio ardente;
Ma ’l novo folgorar soàvemente
Viè maggior fece, e più vivace il foco.
Sgombra dunque da me speme fallace;
Che ben conosce il cor arso, e schernito,
Ch’ei da l’incendio suo non può ritrarsi.
Folle chi spera amando haver mai pace,
Foco d’Amor può ben restar sopito,
Ma non può però mai cenere farsi.
SONETTO CXLV.
M’accendeste nel cor, se con le chiome
Voi mi legaste a ’nsopportabil some
Di lagrime, d’angosce, e di martire:
Qualhor chieggio soccorso al mio languire,
Qualhor chiamo in aita il vostro nome:
Se ciò v’offende, ch’io non sò dir come,
Perdonate à voi stessa il mio fallire.
Voi l’ardor, voi l’ardir somministrate
A l’alma, voi d’un grato, e rìo veleno
Spargete i sensi, ond’io non trovo schermo.
Contra voi troppo il mio valor è ’nfermo;
Ch’Autumedon d’Amore in man portate,
E di mia vita, e di mia morte il freno.
MADR. XCVIII.
Si fan segno infallibil del mio core,
E lascian sempre in lui piaghe mortali;
E s’io del mio dolore
Mi |