Da un’amoroso tarlo hò l’alma offesa,
E mi sento morire, e non mi giova
Nasconder, nè fuggir, nè far difesa.
Non è chi al pianto mio si pieghi, ò smova,
Ed a gli affanni miei son congiurate
Le stelle, e ’l Cielo, e gli elementi à prova.
O chiare luci, che le mie ’nfiammate,
O de’ pensieri miei porto felice
Di me vi dolga, e vincavi pietate.
Vivrò misera me sempre infelice?
Sì, che sperar altro non posso amando.
Tal frutto nasce di cotal radice;
Ma mentre vado (ohime) pace gridando,
Nè m’ascoltano fuor, che i boschi, e l’onde
In tristo humor vò gli occhi consumando.
Ahi pria, che sièno al mio voler seconde
L’indurate sue voglie, mancheranno
A l’aere i venti, à la terra herbe, e fronde.
Amor crudele arroge danno a danno,
Perch’io nel Regno suo mai sempre viva
Pascendomi di duol, d’ira, e d’affanno.
Così d’ogni speranza in tutto priva,
Di pene sazia, e di piacer digiuna
Sempre convien, che combattendo viva.
Ma spariscon le stelle ad una, ad una:
Convien, ch’aspetti à disfogar miei guai,
Che ’l Sol si parta, e dia loco à la Luna.
Disprezzato mio cor fà tregua homai
Con le miserie tue noiose tanto.
Non pianger più non hai tù pianto assai?
Hor sia quì fine al mio amoroso canto.