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SONETTO VI.


T
U, che de’ più famosi, e de’ più chiari

E i corpi, e i nomi ancor chiudi sotterra,
     E le Torri superbe à l’ima Terra
     Adegui, e secchi Fonti, e Fiumi, e Mari;
Tu, che de’ sette Colli illustri, e rari,
     Che un tempo à te fèr sì honorata guerra
     Vittorioso al fin mandasti à terra
     Ponti, Colossi, Terme, Archi, ed Altari;
Tu, che l’opre non pur di man mortale,
     Ma d’altissimo ingegno à Febo grato
     Ogni nobil fatica al fin distruggi
Alato Veglio, che volando fuggi
     Al Tempio tuo di tanti fregi ornato
     Frà tante spoglie appendi anco il mio male.


SONETTO VII.


E
Mpio se d’amarissimo veleno

E gorghi, e fiumi entro ’l mio sen tu versi
     E forza pur, che i miei languidi versi,
     E l’egro stil sia d’amarezza pieno.
Porrà quest’Alma à le querele il freno
     Crudo, s’avezza l’hai sol’à dolersi?
     Gioirò se da indi in quà, ch’i’ apersi
     In te gli occhi non vidi un dì sereno?
S’à pianger sempre mi costringi, hor come
     Potrò cantando in questa, e ’n quella parte
     La beltade innalzar, c’hò ’mpressa al core?
E qual trà fidi Amanti havrai tu nome,
     Poiche solo vedran ne le mie carte
     Scritto la tua fierezza, e ’l mio dolore?


So-