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Offender non mi può quel, ch’à voi piace
O begli occhi per cui d’arder imparo;
Che le stelle sù ’n Ciel forse ordinaro,
Ch’io sol trovi per voi conforto, e pace.
Sfavilli, ed arda pur questo mio petto.
Sia ne la fiamma avventuroso il core
Come Pirausta entr’à fornace ardente;
Che nel foco non pur non langue, ò muore,
Ma da l’incendio suo tragge diletto,
E divien ne l’ardor viè più possente.
SONETTO LXXXVIII.
Per cui cantando dolcemente piagni,
E ’l garrir de gli augei mesto accompagni
Da un’alba à l’altra, e d’una a l’altra sera
Più che Donna e (cred’io) selvaggia Fera;
Che sol s’allegra alhor quando ti lagni,
E di lagrime amare il volto bagni,
Anzi d’ogn’aspra Fera ell’è più fiera.
Vengon le Fere al tuo soàve canto,
E deponendo l’ira, e l’alterezza
S’addolciscon pietose à i versi, al pianto.
Questa non t’ode, e ’l tuo pregar non prezza.
Qual la difende (ohime) magico incanto?
Qual empia stella? ò qual natìa fierezza?
MAD. XLII.
(O miracol possente)
Polve, che spira, e d’amor fiamma sente;
E là dove si volge il tuo sembiante
Per mio |