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Ond’io sì meco il mio dolor’ incarno,
     Che non è chi lo tempri, ò chi l’affrene,
     Anzi fiero mi scorre entro le vene
     Con forza tal, ch’io me ne struggo, e scarno.
Tanto lunge da lui m’è ’l viver greve,
     Ch’io sol trovo conforto a’ miei tormenti
     Nel pianto, che non ha tregua già mai.
Sordo Appennin s’à’ miei sospiri ardenti
     Non cedi, al foco lor cader vedrai
     L’orrida pompa di tua fredda neve.


SONETTO LXXXVI.


S
Coprami pur’ Amor di sdegno armate

Quelle, che già vid’io luci ridenti,
     Scacci con le paure gli ardimenti,
     E s’addorma per me sempre pietate;
Sieno pur tante in voi nevi gelate
     Quante ne l’alma mia faville ardenti,
     Sieno i diletti al venir tardi, e lenti,
     Pronti gli sdegni, e le sventure alate;
Non mi porga giamai vigor, ne spazio,
     Ch’io sol respiri; aprami sempre il fianco,
     Nè mai si veggia di ferirmi sazio;
Al maggior uopo ogni soccorso manco
     Vengami, e sia perpetuo ogni mio strazio;
     Ch’unquà non fia ’l mio cor d’amarvi stanco.


SONETTO LXXXVII.


L
Uci, ond’hà lume il Sol, se non vi spiace,

Anzi v’è del mio cor l’incendio caro
     Non mi sia Amor de le sue fiamme avaro,
     Ma volga in me cortese ogni sua face.


G     2          Offen-