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80 ii - i rimatori lucchesi

II

L’uomo deve resistere fortemente ai colpi di fortuna.

     Dev’omo a la fortuna con coragio
istar piú forte quando incontra gli ène,
e quanto piú gli cresce e fa damagio,
alora piú conforta la sua ispene.
     E questo agio veduto per usagio:
che ’l bene e ’l male l’uno e l’altro avene;
per me lo dico, che provato l’agio:
chiunqua sé sconforta, no fa bene.
     Ben ce dovemo de lo mal dolire,
tempo aspetare e prendere conforto,
sí che lo male no tanto rincresca.
     Eo, disiando, pensaimi morire:
ventura m’ha condutto a sí bon porto,
che tute le mie pene in gioi’ rifresca.


III

Sebbene ferito, tacerá,
perché cosí spera di vincere la durezza della donna sua.

     Feruto sono e chi di me è ferente
guardi che non m’alcida al disferare,
ch’i’ ho veduto perir molta gente,
no nel ferire, ma nel ferro trare.
     Però feruto, voglio istar tacente,
portar lo ferro per poter campare,
ché per sofrenza diviene om vincente,
ch’ogna cosa si vince per durare.
     Però chero mercé a voi, mia spera,
dolce mia donna e tutto mi’ conforto,
non disferate mia mortai feruta.
     Mercé, per Deo, non vi placia ch’i’ pèra,
per soferenza tosto aspetto porto:
per lunga pena ’l mi’ cor non si muta.