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58 ii - i rimatori lucchesi

5de la sua desianza
che in amoranza — metta lo suo core;
che per lo flore — spera l’omo frutto
e per amor ciò ch’è disiderato.
Perché l’amore è dato
IO a gioia e a conforto senza inganno;
che, se patisse inganno, — fora strutto
lo ben d’amor, che tanto è conservato,
né fora disiato
s’avesse men di gioia che d’afanno.
15Tant’è la gioia, lo preso e la piacenza,
la ’ntendenza — e l’onore
e lo valore — e ’l fino ’nsegnaniento,
che nascon d’amorosa caunoscenza,
che differenza — amore
20no è prenditore — da vero compimento.
Ma fallimento — fora a conquistare
senza affanare — così gran dilettanza,
ca per la soverchianza
vive in erranza — quel che s’umilia.
25Chi gio’ non dia — non pò gioia aquistare,
né bene amare — chi non ha in sé amanza,
né compir la speranza
chi no lassa di quel che più disia.
Perché seria fallire a dismisura
30a la pintura — andare
chi pò mirare — la propria sustanza;
che di bel giorno vist’ho notte scura,
contra natura, — fare
e traportare — lo bene in malenanza.
35Unde bastanza — fora, donna mia,
se cortesia — mercede in voi trovasse,
che l ’afanno passasse
e ritornasse — in gioia e in piacere,
che troppo sofferére — mi contraria;
40com’om, ch’è ’n via — per gir, che dimorasse