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200 iii - i rimatori pisani

Lo viver, donque, e ’l morir mi contrara:
or ecco post’amara,
che la follia del meo fallo m’ha dato!
30Perché fui nato,
poi dovea di me esser micidiale?
Che tanto piagat’aggiomi corale,
che la piaga è mortale
da no sperarne giammai guerigione.
35Ahi che fellone
demonio a far tal mi condusse male!
Assai più è ontoso
e pien di crudeltà, ch’eo non diviso,
lo fallo che si fort’hami conquiso,
40come sovra nel meo contat’ho dire:
che chi era amoroso
più di nuli ’altra di me criatura.
tanta bestiai sommessemi ’smisura
ch’a ’ncontradir suo plager èi ardire;
45e la mainerà fu certo di folle,
qual legger più si volle:
unde confesso che l’onta e ’l dispregio
desi dir pregio
per me, e cosa che più fiata spíco:
50e di ragion ben anche stammi dico
che di Dio sia nimico,
fòr cui impero nente e rege tene
che sia di bene;
ma quanto più ha sensa, più è inico.
55Tuttora in vita moro
del doloroso, ch’addoss’aggio, assedio;
poi non vi poss’alcun prender remedio,
che difesa mi vai né render lasso.
Sed eo forte doloro,
60certo neun si de’ meravigliare,
poi d’ogni parte si mi veggi’ odiare:
ma è miracol com’eo non impasso;