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della miseria, timidi, tremanti, in apparenza propriamente servile.
Facciamoci ora di bel nuovo a descrivere le sorti degli Ebrei, sotto i successori di quel Paolo II che primo li fece correre nel carnovale. Ora oppressi, ora trattati con una certa mansuetudine, come da Paolo III della famiglia Farnese romana, la loro sorte fu decisa sotto il pontificato di Paolo IV. Questi, napoletano, della possente e fanatica famiglia dei Caraffa, monaco teatino, fondatore della camera dei martiri e della censura, riformatore acceso di zelo ardente e senza prudenza, di animo fierissimo, non appena salito sulla cattedra di S. Pietro pubblicò nel 1555 la bolla Cum nimis absurdum, la quale regolò la condizione della corporazione israelitica di Roma. Rivocò tutti i privilegi concessi anteriormente agli Ebrei; loro vietò l’esercizio della medicina, ed ogni relazione con i Cristiani, loro proibì di esercitare le arti ed i commerci ai quali si erano fino allora dedicati; di possedere beni immobili; loro acrebbe i tributi e le imposte, e loro vietò ogni commercio con i Cristiani. Vietò loro perfino di assumere il titolo di Don con il quale, secondo l’usanza di Spagna e di Portogallo, si onoravano gli Ebrei più distinti. Allo scopo di separarli, e di distinguerli totalmente dai Cristiani prescrisse non potessero uscire dal Ghetto se non con il cappello, e con un velo, entrambi di colore giallo, il cappello per gli uomini, il velo per le donne. «Imperocchè, dice la bolla, la è cosa assolutamente scandalosa ed incomportabile, che gli Ebrei i quali per propria colpa sono caduti in ischiavitù, abusando della compassione loro dimostrata dai Cristiani, abbiano l’impudenza di abitare promiscuamente con questi, di non portare verun distintivo, di tenere Cristiani al loro servizio e persino di acquistare case.»
Finalmente Paolo IV stabilì il Ghetto, quartiere per l’abitazione obbligatoria degli Ebrei. Fino a suoi tempi avevano questi goduta, tuttocchè non fosse loro espressamente guarentita, dalla libertà di abitare dove più loro