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da quell’altura la vista di Siracusa è bella. Si ha sotto, immediatamente il verde piano, irrigato dalle acque del Ciane, dove riposano a migliaia gli Ateniesi e gli Africani e non havvi nei dintorni di Siracusa località più campestre, e più malinconica di questa. Dopo avere attraversato quella pianura arida e sassosa, la quale si stende da Achradina ad Epipola, l’occhio si riposa sulle verdi sponde dell’Anapo, sui meandri del Ciane, e ricorrono alla memoria i nomi di Teocrito, e di Pindaro. Dove sono andati i bei tempi dell’antica Grecia?
Uno sprazzo di pioggia mi cacciò da quell’altura, e mi costrinse, tornato che fui sulle rive dell’Anapo, a ricoverarmi sotto un ponte. Stetti ivi sepolto un buon pezzo, come un’anima sullo Stige, o per parlare meno poeticamente, tutto impregnato di umidità. Siccome però non havvi giorno, come dice Cicerone, in cui non splenda il sole a Siracusa, dopo una mezz’ora il cielo si rasserenò, e vidi Iride nunzia di pace stendere il suo arco sul mare ed un raggio di sole rischiarare tutta quanta Ortiglia, in guisa che tutta l’isola pareva nuotare in un mare di luce variopinta. Contemplai pure per tal modo per l’ultima volta il Vesuvio, nel tornare a Napoli colto dalla pioggia; ed auguro a tutti coloro che saranno per visitare Napoli, o Siracusa sia loro dato di potere godere di quello stupendo spettacolo.
Tolsi in tal guisa congedo da Siracusa, dovendo partirne l’indomani, e sallo il cielo, con quanto rincrescimento. Pochi istanti però prima di allontanarmi, volli ancora salire al teatro, per gettare un ultimo sguardo sulla città. Ed ora, addio Aretusa! Addio pure rive del Timbro, che volgete le vosire acque poetiche!
fine del secondo ed ultimo volume.