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portati a rinvenire soventi nei libri tedeschi, di una prolissità alquanto soverchia in alcune parti, di qualche ripetizione, di qualche riflessione per avventura talvolta alcun poco ingenua, non che di quelle digressioni astratte e metafisiche, le quali vanno tanto a sangue di quei nostri buoni vicini, che fummo lieti, e ci affrettammo di tutto cuore a chiamare fratelli, non sì tosto (e credo sia stato pure per il loro meglio) rivarcarono le Alpi; digressioni che noi Italiani non arriviamo sempre a comprendere (e per conto mio ho dubitato più di una volta, non le comprendano poi sempre gli stessi Tedeschi) e per le quali abbiamo poco genio, anche quando arriviamo a capirle. Ma per altra parte i Ricordi storici e pittorici del signor Gregorovius (titolo che ho dato al suo libro, essendo pressochè intraducibile quello originale di Wanderjahre) offrono tutti i pregi che sempre si riscontrano nei libri tedeschi, e fra gli altri quelli di un culto coscienzioso per il vero, per l’onesto, per il bello: di una erudizione soda, sicura, profonda; di un gran senso per le bellezze naturali, che noi non apprezziamo abbastanza, forse per la ragione che le abbiamo di continuo sott’occhi; ed inoltre quelle pagine rivelano nell’autore tanto affetto per l’Italia, che a mio avviso dovrebbe bastare questo pregio,