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vertigini. Eravamo morti di sete; avevamo gran desiderio di un gelato, ma non incontravamo un abitato. Riposammo alcuni istanti per due volte in case di campagna isolate, dove avevano presa stanza maniscalchi che ferravano i muli di passaggio. A metà strada fra Girgenti e Palermo, la contrada diventa più fertile, e più pittorica. La solitudine è almeno interrotta da stupendi pini, da cipressi, da belle piante di carrubbe, presso le quali passavamo stanchi e taciturni, al chiarore di splendida luna. Chi potrebbe descrivere le bellezze di una tal notte, in quelle solitudini omeriche, dove non si ode altro romore che lo scalpitare dei muli, e qua e là il grido malinconico dell’uccello di Minerva? Passando per monti ricchi di zolfatare, finimmo per arrivare a Lercara, dove pernotammo.
Da Lercara a Palermo vi ha strada carettiera, e si può prendere la posta. Continuai però il viaggio a cavallo, partendo di buon mattino; la giornata era limpida, le campagne fertili, e di quando in quando pure abitate. Dopo Belle Fratte passammo in vista al pittorico castello in rovina di Palazzo Adriano, ed arrivammo a Misilmeri, patria della mia buona guida Campo. Il brav’uomo mi volle dare ospitalità in casa sua; mi porse gelati, e volle ad ogni conto che io accettassi un canestro d’uva stupenda, raccolta nei giardini del principe Bongiorno; quindi mi consegnò a suo figliuolo perchè mi accompagnasse a Palermo, distante ancora nove miglia. Una strada magnifica, a traverso fertile pianura, conduce alla città, ed oltrepassati stupendi aranceti, si giunge alle porte dell’antica Panormo.