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lato, e fuori delle mura dell’antica Agrigento. La lunga linea di tempii che ivi si stendeva, denominati ora di Giunone, della Concordia, di Ercole, di quello colossale di Giove Olimpico, di Castore e Polluce, e di parecchi altri, dei quali non rimangono più che pochi avanzi, o che sono totalmente distrutti, doveva pure porgere una bella vista, per chi particolamente veniva da Eraclea, vale a dire dalla parte del mare, e che dopo avere attraversato campi fertilissimi, vedeva davanti a sè le mura dei tempii di quegli Iddii, che stavano quasi custodi della città, che formicolante di popolo, si stendeva col suo laberinto di strade, e con gli splendidi suoi edifici sulla collina, coronata sulla vetta di questa a levante dal tempio di Minerva, ed a ponente dall’Acropoli.
Della città interna poco o nulla rimane. Il suolo dove si rinvengono di continuo monete, vasi, ed altre anticaglie è ricoperto dovunque da vigneti, da oliveti. Nel centro circa della periferia dell’antica città, sorge la villa degli eredi del ciantro Panitteri, semplice casetta con un modesto giardino, dove stanno alcune antichità, particolarmense una bella cornice corinzia, dell’epoca romana. Vicino a questa villa si vede il così detto oratorio di Falaride, singolare nome per un edificio attribuito ad un tiranno. A lui pure, come a Terone, vollero gli Agrigentini dedicare un monumento, e pertanto battezzarono del suo nome una cappella romana, imperocchè quel piccolo edificio di forma oblunga, con pilastri i quali hanno basi attiche, e capitelli dorici, è fuori di dubbio di origine romana, ed i monaci di S. Nicolò lo ridussero ad uso di cappella cristiana.
Dell’antica vasca d’acqua degli Agrigentini mon rimangono vestigia; una novella fu costrutta in vicinanza a questo oratorio, il quale è l’unica antichità che sussista tuttora fra il Camico, e le mura meridionali dell’antica Agrigento. Nella poverissima Girgenti attuale non rimane monumento greco, ad eccezione delle così dette rovine del tempio di Giove Polico, sulle quali venne eretta la