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di colonne scannellate, simili a gigantesche pietre molari, sparse qua e là a metà sepolte nel suolo, o coperte di piante selvatiche. Sorgeva questo tempio di Ercole in vicinanza al famoso Olimpio di Agrigento, ed era il più vasto, ed il più rinomato della città. Era un Hexastylos peripteros di trentotto colonne, le quali si presentavano sei di fronte, e quindici sui lati, contando pure quelie degli angoli. I loro capitelli erano magnifici. Il diametro delle colonne era di otto palmi e mezzo, la loro altezza, compresi i capitelli, di oltre quattro diametri e mezzo, vale a dire di poco meno di trentanove palmi. Il loro aspetto pertanto doveva essere grandemente imponente. Il cornicione in complesso, fra architrave, fascia e cornicie, era alto quasi dicianove palmi. Scorgesi tuttora che era colorito in rosso, turchino, bianco, e nero. La cornicie al disotto della gola, era ornata di teste di leoni, e di fiorami.
La lunghezza di tutto il tempio, secondo Serra di Falco, era di duecento cinquantanove palmi, e la larghezza di quasi novantotto. Nell’interno sorgeva la rinomata statua in bronzo di Ercole, lavoro di Milone, sulla quale Cicerone dà molti particolari nella sua seconda Verrina. Dice, fra le altre cose, che il ginocchio della statua era quasi consumato dai baci delle persone, le quali si portavano nel tempio ad adorare il Nume. Oggidì potrebbe Cicerone fare la stessa osservazione in S. Pietro di Roma, dove i baci dei cattolici non hanno consumato meno il piede del santo, di quanto fosse avvenuto ad Agrigento al ginocchio di Ercole. Non vi sarà quindi più a meravigliare, che il tempo e gli elementi abbiano distrutto tanti monumenti, dal momento che i soli baci valgono a consumare il bronzo; e questa meravigliosa rassomiglianza di usi e di costumi, non è la sola che si ravvisi fra il paganesimo, e la religione cristiana.
Quella bella statua d’Ercole eccitò la cupidigia di Verre, e desso si decise a rubarla, imperocchè gli Agrigentini si ricusavano a cedergliela di buona voglia. Verre praticò in