semplice quanto un principio geometrico, ma l’essenza propria della vita intima di quello stesso popolo ci rimane nascosta. Quanto meno, io son di parere, che la cattedrale cristiana di Monreale, il più bel contrapposto di questo tempio della Concordia, ci fa penetrare più addentro nelle forme di vita del medio evo, e meglio ce le fa comprendere, ce le spiega. Se la Sicilia non possedesse altro che questi due edifici, monumenti, ricordi, rappresentanti di due grandi epoche di civiltà, sarebbe pur sempre per questi soli, una delle contrade le più meravigliose. Il tempio dorico è l’espressione la più viva dei severi ordinamenti greci, e della loro fatalità tragica; ogni accidente, ogni fantasia sono ripudiate da quelle forme sevore, la cui maestosa unità non tollera divisione di sorta, nè la pittura, nè gli ornamenti a cui troppo deve concorrere l’arte del disegno, vi trovano posto. Il principio cristiano in vece li ammette, ne fa uso nei mosaici pittorici, nei rabeschi, nelle sculture. Il tempio dorico per contro, non ammette altri ornati che i triglifi, che le metope, che linee semplicissime nei meandri nei fogliami nelle cornici; non rifuggiva però dall’uso della pittura policroma, come si può ancora riconoscere in vari tempi della Sicilia. Del resto, che cosa poteva esservi di più semplice che quelle colonne doriche senza base, i cui capitelli severi e voluminosi comparivano ben più imponenti che le forme posteriori dell’ordine ionico, e corinzio? Il tempio dorico mi pare caratteristico in Sicilia, in una contrada la quale possiede un’attitudine naturale per i principii severi delle matematiche.
Il terzo tempio è quello di Ercole, il quale fu uno dei più belli di Agrigento, ma che ora non è più se non un ammonticchiamento di ruderi colossali dispersi sul suolo. Una sola colonna scannellata, senza capitello sorge fra mezzo a tutte quelle rovine. Si contemplano con istupore quelle teste mostruose di arieti, quegli stupendi capitelli, quei frammenti di architravi, di cornici che portano ancora le traccie di pitture in colore purpureo, quei pezzi
F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. |
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