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nicano pubblicò nel secolo XVI la storia più recente di Sicilia.
Nel resto d’Italia, o si vede la vita moderna a fianco delle rovine, particolarmente nella campagna di Roma; ovvero si scorgono, le une accanto alle altre, rovine di epoche e di tempi diversi; quelle di Selinunte appartengono tutte all’epoca stessa, ed in vicinanza non havvi ombra di vita, non si scorge che l’orizzonte del mare, deserta solitudine. Regna tutto intorno un silenzio assoluto, profondo, nulla distrae la fantasia dallo immergersi nella meditazione del passato: chi non ha visto Selinunte, non può dire avere idea precisa, perfetta, di quello che siano rovine.
Proseguendo il cammino in direzione di levante, arrivammo al fiume Belice, l’antico Hypso Potamos, e dopo aver attraversato parecchie foreste di sugheri, e spiaggie sabbiose arrivammo a Menfrici. Di là camminando per una pianura deserta si arriva a Sciacca, l’antiche Thermæ Selinuntiæ, piccola città di un sedici mila abitanti, con un castello pittorico, e collocata sur una collina in vista del mare. Passammo ivi la notte.
Partendo da Sciacca camminando per lo spazio di quasi quattro miglia tedesche sulla spiaggia, ora su ciottoli e conchiglie, ora a traverso terreni paludosi, ora seguendo il letto di torrenti, sempre alla ventura, senza trovare mai strada tracciata. Incontrammo parecchi torrenti asciutti, i quali nella stagione piovosa diventano impetuosi, e portano al mare le loro acque. Uno dei maggiori fra questi si è il Platani, l’antico Alico che attraversammo. Trovammo sulle sue sponde varie mandre di buoi colle corna altissime, i quali in Sicilia, per quanto mi fu dato osservare, non sono di pelo bianco come sul continente italiano, ma bensì rosso, i veri buoi di Elio. I mandriani che li custodivano, uomini di misero e ruvido aspetto, erano a cavallo, come quelli della campagna di Roma, e delle paludi pentine.
Dopo di avere abbandonata la spiaggia del mare, entrammo in una regione di colline totalmente disabitate,