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incoronato da Cristo. Si vede essere ritratto del re, una bella testa con i cappelli lunghi che scendono sulle spalle e colla barba a pizzo. Veste un abito lungo, di colore turchino, con sopra una tunica di colore pure turchino, ricamata in oro, e sulle spalle una fascia turchina ed oro, la quale dopo essersi incrocicchiata sul petto gli cade sotto il braccio sinistro. Tiene in capo la corona o piuttosto un berretto quadrato, ed ha scarpe colore di rosa. Fu trovato pure vestito in quella foggia Federico II quando fu aperta la sua tomba, e così pure vestivano Arrigo VI e Guglielmo I. Morso ritiene con fondamento, che quegli abiti reali fossero insegne della podestà sacerdotale, che Ruggero aveva ottenuta dal Papa Lucio II per dare maggiore consecrazione alla novella sua signoria. Ottenne difatti il scettro, l’anello, la dalmatica, i sandali, secondo quando narra Ottone da Frisinga.

Disgraziatamente i mosaici della tribuna vennero distrutti in occasione di ristauri eseguiti alla chiesa, nel corso del secolo XVI, e la tribuna stessa venne mutata di forma, in istile barocco. Oltre il pregio artistico, la chiesa della Martorana ha pure quello storico, di essere stata, dopo il vespro, sede del parlamento che elesse a re Pietro di Aragona.

Un’altra piccola chiesa, S. Giovanni degli Eremiti, è più antica ancora, essendo stata edificata dal re Ruggero nel 1132. Dessa ha quattro cupole, di gusto prettamente arabo, e di aspetto molto originale. Nell’interno è piccola, ed essendo abbandonata da gran tempo, non offre più che le nude pareti. Stanno vicino alla chiesa le rovine di un piccolo chiostro, in stile arabo-normanno graziosissimo.

La terza chiesa dei primi tempi normanni si è S. Catalda, di carattere greco, con tre cupole emisferiche sostenute da archi a sesto acuto. Dessa è di forma quasi quadrata, e vuolsi sia stata eretta dall’ammiraglio Maione. Suoi mosaici furono distrutti. Di alcune altre chiese normanne come di S. Giacomo, la Magara, e di S. Pietro la Bagnara, non rimangono quasi più traccie; altre furono

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 18