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Quum dedit ille locum, cophino fænoque relicto.
Arcanam Judæa tremens medicat in aurem;
Interpres legum Solymarum, et magna Sacerdos
Arboris ac summi fida internuntia cœli
Implet illa manum; sed parcius, ære minuto,
Qualiacumque voles, Judæi sommnia vendunt.

In questi versi il poeta descrive con tanta evidenza l’aspetto degli Ebrei, che ci pare vederci comparire davanti una di quelle vecchie Ebree, alle quali diamo volgarmente il nome di streghe. E nella stessa guisa che ai tempi di Domiziano l’Ebrea usciva riguardosa di nottetempo dalla valle della ninfa Egeria per introdursi furtivamente nel domicilio di una dissoluta patrizia romana, la stessa cosa aveva luogo ancora fino agli ultimi tempi in Roma. Imperciocchè parecchie Ebree uscite dal Ghetto si aggiravano per la città a prefetarvi il futuro, a spiegare i sogni, a vendere filtri, ed offrire i loro servizi alle dame di nobili e distinte schiatte. Ne fa menzione espressa la bolla di Pio V del 1569, la quale comincia Hebreorum gens sola quondam a Domino electa. Questa bolla in forza della quale gli Ebrei sono espulsi da tutte le città dello stato della Chiesa, ad eccezione di Roma e di Ancona, è documento storico di molta importanza, e sorvolando grande spazio di tempo ne riprodurrò alcuni passi, che corrispondono appieno ai versi di Giovenale. Leggesi nella bolla, «Dopochè questo popolo ha perso i suoi sacerdoti, dopochè cessò la sua legge di avere autorità, fu cacciato dalla propria stanza che un Dio buono o clemente aveva assegnata al popolo stesso fin dalla sua origine quale terra privilegiata, dove correvano il latte ed il miele; da secoli va errando sulla faccia del globo, odioso, coperto da onta e di vergogna, praticando le arti le più abiette e le più infami, senza mai esserne sazio, come potrebbe fare la razza la più depravata di schiavi.» Passa quindi la bolla ad enumerare tali arti, «Imperocchè, anche tacendo di ogni maniera di usura, colla quale gli Ebrei spogliano di