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rendeva la cosa facile. Ed a far prova della cura che in ciò portavano gli Arabi, basterebbe la descrizione della vasca della Zisa fatta da Leonardo Alberti, se non che parimenti l’ebreo Beniamino di Tudela, nella sua breve descrizione di Palermo, parla più a lungo della vasca Albehira, che di tutte le altre cose notevoli della città. Egli si era portato in Sicilia nell’anno 1172 ai tempi di Guglielmo il Buono, per visitarvi le corporazioni israelitiche. Descrive nel modo seguente l’Albehira. «Nell’interno della città, sgorga la più copiosa di tutte le fontane; è circondata da mura, e forma una vasca alla quale gli Arabi diedero nome Albehira; vi si mantengono pesci di varie specie, ed in essa navigano le barche reali, ornate d’oro, d’argento, od elegantemente dipinte; e spesso vi si reca a prendervi sollazzo il re, colle sue dame. Nei giardini reali trovasi poi un castello, le cui pareti sono rivestite d’oro e di argento, i cui pavimenti sono formati di marmi preziosi d’ogni qualità, e che contiene statue di ogni natura. Non ho visto altrove edifici, i quali si possano paragonare ai palazzi di questa città».

Ignorasi dove si trovasse l’Albehira; Morso ha cercato di provare che Beniamino ha voluto parlare del così detto Mar Dolce, nome che si dà alle rovine di stile arabo del castello di Favara, in vicinanza del pittorico convento di Gesù fuori le porte della città, ed al disotto della grotta, rinomata per i suoi fossili. Si diede a queste rovine il nome di Mar Dolce, perchè si trovano di fronte ad una antica vasca, ma in arabo avevano nome Case Djiafar. Queste rovine rivelano architettura uguale a quella della Cuba, e della Zisa.

Esiste ancora fuori di Palermo una quarta villa, o palazzo saraceno, quello di Ainsenin, denominato dal popolo Torre del diavolo. Le sue rovine giacciono nella pittorica valle Guadagna, attraversata dall’Oreto, e sovra la quale si estolle il monte Grifone.

Sono questi gli unici monumenti di costruzione saracena, i quali tuttora rimangono in Palermo a ricordo della