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e la prova il fatto che gli Ebrei lo piansero estinto, e lo onorarono delle loro lodi. Parimenti Augusto lasciò loro ampia facoltà di stare in Roma, e di attendervi ai loro negozi; ed esso pure fu pianto degli Ebrei, i quali gli tributarono onori funebri per una settimana. Non erano a quell’epoca concentrati in un determinato punto della città quantunque narri Filone che Augusto aveva donato in Roma agli Ebrei il quartiere, che dice buono, del Trastevere. Però abitavano pure in altri siti, e molti nell’attuale Trastevere, non lontani pertanto dal Ghetto attuale, di là del fiume. Secondo la tradizione romana, S. Pietro nell’anno 45 dell’era volgare andò ad alloggiare in Trastevero presso l’attuale chiesa di S. Cecilia, perchè erano ivi domiciliati Ebrei; se non chè deve aver abitato pure sull’Aventino presso i santi Acquila e Prisca; marito e moglie ebrei, i quali avevano abbracciato il Cristianesimo.

Quanto fosse la debolezza usata da Augusto verso gli Ebrei, risulta da un passo dello scritto di Filone degno di molta attenzione, ed intitolato «La legazione a Cajo.» Il dotto Alessandrino dice aver usato sempre Augusto buoni trattamenti agli Ebrei, sapendo benissimo che abitavano il Trastevere, dove erano liberti stati portati in Italia per la maggior parte quali prigionieri, quindi affrancati dai loro padroni, i quali colà vivevano senza essere stati costretti a rinunciare in nulla agli usi ed ai costumi dei loro padri. Ricorda oggidì tuttora quei liberti ebrei un bellissimo sepolcro sulla via Appia, il quale porta il nome di due ebrei Zabla ed Akiba. Augusto, continua Filone, non ignorava che gli Ebrei possedevano sinagoghe dove si radunavano ogni settimana per esservi ammaestrati nelle dottrine della sapienza dei loro padri. Tollerava pure mandassero a Gerusalemme il danaro delle primizie, perchè vi fosse impiegato in sacrifici. Pertanto nè li cacciò di Roma, nè ritolse loro il diritto di cittadinanza, che aveva concesso generosamente al popolo ebreo, nè li costrinse a fare mutazioni di sorta alle loro sinagoghe, alle loro riunioni. Narra ancora Filone, che l’imperatore mandò