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a Pozzuoli, dovettero scontare colla rilegazione in un’isola od in una fortezza, il delitto di avere portato un cappello, od una barba rivoluzionaria.
Non si osserva mai una dissonanza, imperocchè tutto è armonia in questo beato paese; non si vede mai una fisionomia seria, malinconica, perchè tutto sempre sorride, in questa allegra contrada. Barche a migliaia si muovono come per lo passato nel porto; le carrozze corrono a migliaia a Chiaia, e Santa Lucia, si mangiano ad ogni passo maccheroni, frutti di mare; si canta e si suona al Molo, tutti i teatri sono aperti, il sangue di S. Gennaro bolle, e si liquefà come prima; nessuna bomba ha colpito Pulcinella, e la Villa Reale è piena di forastieri, i quali lasciano buoni danari. Questo popolo non vive che alla giornata, per il solo momento. Non ha senso per la politica, per le cose serie, per le passioni virili, senza le quali un popolo non ha storia propria. Da quanto esiste, Napoli ebbe sempre forastieri per padroni, i Bizantini, i Normanni, gli Svevi, gli Agioini, gli Spagnuoli, i Borboni, e Giovacchino Murat. Un popolo senza carattere proprio, senza sentimento nazionale, si spiega a qualunque signoria, e fa senso il vedere oggi ancora le monete coll’effigie di Murat, avere corso tranquillamente con quelle di re Ferdinando.
Gli uomini assennati, i quali ammettono il carattare di questo popolo, e non se ne adontano, mancano di perspicacia, di prudenza. Tornavo una sera a Napoli, da Portici. Salì per istrada meco sulla carrozza un medico, uomo sul fiore dell’età, spiritoso, educato. Esplorò dapprima il mio modo di vedere, quindi parlò liberamente, senza ritegno di sorta delle condizioni presenti di Napoli. Le sue osservazioni erano così severe, che io non avrei imaginato mai si arrischiasse a manifestarle ad uno sconosciuto. Gl’Italiani parlano volontieri di politica con i forastieri, ed allora non fanno punto mistero del loro modo di vedere. Quell’uomo era stato perseguitato, per avere avuto in passato relazioni con Poerio. Interruppi il suo discorso,