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sono le belle ragazze; le propone il ruffiano pallido che striscia in Toledo quale serpe e va, sussurrando a mezza voce nel passarvi a fianco; «una ragazza fresca, bella, bellissima, di tredici anni.»
Stetti a lungo sul terrazzo di S. Martino, appoggiato al parapetto, ascoltando al basso la voce di Napoli. Se questo popolo, pensavo, fa un tal chiasso nelle condizioni della vita abituale, quale non è il romore che deve fare allorquando trovasi agitato dalle passioni, allorquando lotta nelle strade, e domanda il saccheggio, come facevano dopo il 15 maggio 1848, i lazzaroni a migliaia, dietro la carrozza del re Ferdinando.
Tutto questo movimento però d’ordinario è pacifico, ha luogo con allegria, ed un certo ordine non cessa di regnare in mezzo a questa apparenza di disordine. Tutta questa gente che brulica come le formiche, si muove in certe direzioni fisse quasi ad uno scopo determinato. La vita circola in questo popolo, come il sangue nel corpo umano, e certe pulsazioni le quali paiono febbrili, sono però regolari e normali.
La rivoluzione, e la sconfitta morale degli ultimi anni non hanno lasciate traccie a Napoli. La vita ordinaria ha ripreso il suo corso, coma se nulla fosse stato, e nessuno si accorgerebbe di quanto avvenne, se le persone prudenti e ben intenzionate non vi avvertissero di andare cauti nel parlare, di stare in guardia contro le spie, che pullulano ad ogni angolo, e se non si scorgessero qua è la, ed a Madina a ed Monte Oliveto particolarmente, case e palazzi danneggiati dalle artiglierie di Castel nuovo. Ora è permesso pure ad un forastiero portare un cappello alla Calabrese, od il pizzo al mento, dopochè l’ambasciatore di Francia ha richiesta ed ottenuta soddisfazione, per lo sfregio fatto ad uno de’ suoi connazionali, il quale era stato arrestato per istrada, e senz’altra formalità portato nella bottega di un barbiere, dove per ragion di stato, gli si erano rase le basette ed il pizzo. Sonvi giovani napoletani, i quali siccome mi narrava un prigioniero di stato