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I.

Dopo la rivoluzione del 1848, Roma è diventata più silenziosa ancora di quanto fosse in passato; ogni allegria, ogni vivacità nel popolo sono scomparse; le classi agiate si tengono nascoste, non fanno parlare di sè, le classi povere sono più misere, più oppresse di prima. Le feste popolari diventano di giorno in giorno più rare; il carnovale va decadendo; le feste stesse di ottobre, una volta così allegre, e che chiamavano la folla fuori le porte ad alliettarsi col bicchiere e col saltarello, sono quasi scomparse. Roma è una grande rovina della civiltà, dove non si vedono che processioni di preti e di frati, dove non si sente che il suono delle campane o musica di chiesa. Tutta la vita pare essersi concentrata nei curiali, nei cardinali, nei monaci, nei preti. Il popolo si è ridotto alla condizione di semplice spettatore. Desso non lavora, non traffica, sta contemplando; e gli argomenti di contemplazione non mancano, sia che si voglia portare la sua attenzione sulle rovine antiche, o nelle gallerie del Vaticano, o sulle funzioni in S. Pietro, o nella cappella Sistina, dove il Papa ed i cardinali, stanno disposti in gruppi, sempre nello stesso ordine, in guisa che si direbbe quasi trovarsi in presenza di un quadro. Nel corso stesso, dove il Romano passeggia con gravità nel pomeriggio od alla sera, non si direbbe già che si muova per muoversi; vi si porta per ammirare le belle dame, che corrono di su e di giù in carrozza. In certi punti del corso si scorgono gruppi di persone, le quali vi si fermano, per poter vedere le signore a loro bell’agio.