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dell’arte, le memorie delle libertà municipale, di una antica e splendida civiltà.

Ho visitato la maggior parte delle chiese di Avignone; non havvene una che si possa dire propriamente bella, e tutte quasi portano le traccie delle devastazioni dell’epoca rivoluzionaria. Entrai una domenica in S. Didier, chiesa di architettura gotica; era ripiena di donne velate di bianco, le quali inginocchiate cantavano le litanie. Era un quadro pieno di anima, di vita; in quell’aspetto devoto, nelle armonie di quei canti, mi pareva ravvisare l’influenza esercitata da Roma per lunghi anni in Avignone. Era un quadro di carattere prettamente romano, se non che la piazza attorno alla chiesa, ombreggiata da grandi alberi, non aveva punto aspetto romano, e tanto meno meridionale, e mi ricordava piuttosto le chiese campestri delle care mie contrade natie.

La folla dei fedeli non mi permise di gettare che un rapido sguardo sopra un basso rilievo, a cui si dà il nome di Images du roi René; imperocchè queste sculture sono attribuite al buon re, e non è a dire di quante statue, e di quanti quadri lo faccia autore nella Provenza, la tratradizione.

Sorge a poca distanza da S. Didier la chiesa del patrono della città, S. Agricola, il quale è invocato in tutte le pubbliche calamità, e particolarmente nei tempi frequenti di siccità. Questa chiesa risale al secolo X e venne ampliata in tempi posteriori; la sua facciata gotica, con grosse torri sormontate da tetto acuminato, è molto originale, ed anche all’interno la semplicità dello stile ogivale, rivela la sua remota antichità.

Merita pure essere ricordata la cappella dei Penitens noirs de la Misèricorde. Si conserva in essa il famoso crocifisso d’avorio di Guillermin, opera del 1659, e la sorella che me lo faceva vedere, mi narrava la leggenda del nipote dell’artefice, condannato a morte, il quale per intercessione di quel Cristo fu salvo. L’opera è di una grande perfezione anatomica, e può gareggiare col rinomato Cristo