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clinazioni mondane, un perfetto gentiluomo della casa di Beaufort, amico del Petrarca, amante delle arti belle, della poesia, delle scienze, chiamò le muse alla voluttuosa sua corte di Avignone; se non che queste vi si trovarono, quasi piante esotiche, fuori del loro elemento natio. La città che gl’Italiani nella loro irritazione nomavano Sodoma, o la seconda Babilonia, fioriva in quell’epoca e brillava di uno splendore che non le era proprio; in un teatro così ristretto, la corte pontificia, i cardinali non potevano allargarsi, muoversi a loro posta, e qualunque cosa siasi detta o scritta dello splendore di que’ tempi, non è però men vero che quei Papi francesi non furono che baroni provenzali, che cittadini del piccolo Avignone. Mentre questo fioriva, Roma era diventata un villaggio. Abbandonata dai Papi che aveva cacciati le tante volte dalle sue mura, bramava ardentemente il loro ritorno, e dal momento che questi non si decidevano e ritornare, si abbandonava la città eterna nella sua desolata solitudine ad un sogno, ad una strana illusione di cui non ricorda altra maggiore la storia. Furono i tempi meravigliosi di Cola di Rienzo, il quale fece la sua prima comparsa in questo palazzo di Avignone.
I Romani mandarono un’ambasciata a Clemente VI per sollecitarlo a volere far ritorno a Roma, e trovavasi fra i legati Cola, in allora conosciuto a Roma qual notaro e qual eccellente oratore. Fu in Avignone che Petrarca lo conobbe. Trovavasi pure fra gli ambasciatori Stefano Colonna, capo della prima famiglia di Roma, amico del Petrarca, il quale per certo non nudriva in allora sospetto che fra pochi anni il giovane notaio avrebbe fatto uccidere i suoi figliuoli ed i suoi nipoti.
Nello aggirarsi oggidi entro le squallide stanze del castello di Avignone, sorgono davanti agli occhi Petrarca, madonna Laura, non che la figura romantica dell’ultimo tribuno dei romani, rallegrando per tal guisa alquanto la tristezza che regna per entro a quelle mura. Se non che i soldati dai calzoni rossi di Napoleone, figliuoli dell’epoca