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Fu dotato d’ingegno perspicace, di grande energia, ma avido di dominazione, d’indole guerriera, e rapace nello accumolare tesori per qualunque via. Alla sua morte si rinvenne ne’ suoi scrigni l’ingente somma di venticinque milioni di scudi d’oro, dei quali diciotto in moneta sonante, e sette in vasellami e pietre preziose.

Tali erano le ricchezze dei Papi in quel loro esilio di Babilonia, ed in un’epoca in cui lo stato della Chiesa si trovava in piena rivolta, e nella quale tutte quante le provincie erano rovinate. Noi ci domandiamo attoniti, con quali mezzi potessero i Papi in Avigoone radunare tanto danaro, superiore ai redditi in quell’epoca della Francia e della Germania. Spetta il darne la spiegazione alla storia di que’ tempi, che non abbiamo preso qui a scrivere.

Giacomo Fournier, figliuolo di un mugnaio di Saverdun, monaco Cistercense, fu il terzo Papa in Avignone, e prese nome di Benedetto XII. Vecchio senza genio, senza viste politiche, ma dotto in teologia, succedette al disinvolto Giovanni XXII l’amico dei re, col lodevole proposito di purgare la corte papale del nepotismo, la Chiesa dalla simonia, e da mille altri abusi. Cominciò allora a regnare nel palazzo pontificio una disciplina severa, tutta monacale. Se non che Benedetto XII pure, dal quale molto speravano i Romani, rimase sordo alle loro preghiere, alle loro ripetute istanze, perchè trasferisse di bel nuovo la sede dei Papato a Roma. Il partito francese vi si oppose virilmente; il re costrinse il Papa a rimanere in Avignone, motivo per il quale Petrarca nella sua amarezza patriottica, lo fece segno ai più vivi rimproveri, e non gli risparmiò i titoli i più ignominiosi.

Benedetto XII decise a non muovere da Avignone, ridusse l’abitazione di Giovanni XXII a forma di fortezza inespugnabile, dandole anche in certo modo seguendo la sua indole, l’aspetto di un monastero, e non poterono più i suoi successori mondani, togliere all’edificio quel carattere.

Clemente VI fu uomo vivace, spiritoso, istrutto, di in-