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Sulla porta maggiore d’ingresso si scorgono le armi di Avignone, una città sorretta da due aquile, ad al disotto tre chiavi papali in oro; entrando si trovano cortili deserti, mura altissime, scale eterne, lunghi corridoi a foggia di monastero, capelle gotiche ora chiuse, ampie sale attualmente tramezzate, stanze nelle torri, vôlte sotteranee, un vero laberinto di Dedalo, il quale fa venire le vertigini. Rimbomba il tamburo; i soldati gridano, schiamazzano, e negli splendidi appartamenti che furono di Clemente VI si scorgano ora lunghe file di letti militari. Dopochè la rivoluzione nel 1790 ebbe cacciato di Avignone i legati pontificii, il palazzo venne senza difficoltà ridotto ad uso di caserma, e serba oggidì tuttora quella destinazione. Ne ha tutto quanto l’aspetto, essendo stata devastata in modo barbaro dai soldati durante la rivoluzione, e sotto la ristaurazione nel 1815. I preziosi affreschi delle cappelle, e di parecchie stanze furono intieramente rovinati, e non vi si scorgono più che a mala pena alcune reliquie di belle pitture della scuola di Giotto.

Queste mura ora mute, furono testimoni durante settant’anni, della storia del papato, in una delle epoche più meravigliose d’Europa, quando cominciava a splendere di bel nuovo ia luce delle scienze, ed a diradarsi le profonde tenebre nelle quali giaceva immersa l’umanità. Non sarà quindi fuor di proposito trattenerci alcun poco a fare parola dei Papi, i quali vissero in Avignone.

Il degnissimo Clemente V, Bertrando du Got, dapprima arcivescovo di Bordeaux, volpe astuta in abiti sacerdotali, come lo qualificò il Muratori, ottenne per simonia il pontificato nel 1305. Eletto e confermato a seguito di segrete intelligenze con Filippo il Bello, si fece incoronare a Lione contro il volere dei cardinali; li costrinse a venire in Francia, a seguirlo in Avignone dove fissò la sua stanza nel 1309. Quella città apparteneva in allora a Carlo II re di Napoli; il Papa pertanto era suo ospite, non esisteva colà palazzo pontificio, e Clemente andò ad alloggiare nel convento dei Domenicani. Macchiò, siccome è noto, la sua