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questo arco, e di quella Roma la quale imperava al mondo, non rimangono più che rovine e polvere, nè rimase più in vita simbolo veruno del culto antico. Chi avrà varcato l’arco, scenderà verso il Tevere, e percorrerà il Ghetto, potrà scorgere il candelabro a sette braccia, scolpito tuttora sulle mura delle case. È la stessa imagine che viddi poco prima sull’arco di Tito, se non che quivi la è imagine vivente, di un culto tuttora vivente, e quivi abitano, oggi tuttora, i discendenti di quegli Ebrei condotti in trionfo da Tito. Entrando poi nella sinagoga degli Ebrei si scorgono sulle mura le stesse sculture, le tavole della legge, la tavola d’oro del tempio, le trombe del giubileo. Un identico popolo ebreo, tuttora sussistente, innalza le sue preghiere all’antico Jehovah, davanti alle stesse imagini che un dì Tito portò a Roma dal tempio di Gerusalemme. Jehovah durò tuttora, dopo scomparso Giove Capitolino.

Ivi sta il portico di Ottavia. Rovinati e cadenti, suoi grandi archi, suoi pilastri sporgono verso il Ghetto. Fu qui che Vespasiano e Tito festeggiarono solennemente il trionfo sopra Israello. Eravi presente un Ebreo compagno ed adulatore di Tito, lo storico Gioseffo Flavio. Non ebbe ribrezzo di assistere al trionfo sopra il suo popolo, di mescolarsi alla pompa di quello, e di farne una descrizione ridondante di adulazione. Siamo debitori a questo abbietto cortigiano ebreo della descrizione del trionfo. «Dopochè, narra egli, l’esercito verso la notte fu entrato, venne collocato in ordine sotto il comando de’ suoi capi non già davanti alla porta del palazzo più in alto, ma del tempio d’Iside; ivi passarono la notte i due imperatori Tito e Vespasiano, i quali sul fare del giorno ne uscirono coronati di alloro, e vestiti di porpora recandosi al portico di Ottavia. Ivi aspettarono la venuta del senato, dei primari magistrati, del fiore dei cavalieri. Di fronte al portico era stato innalzato un palco, sul quale stavano due seggi di avorio; i due imperatori vi presero posto, ed allora le truppe proruppero in evviva, e presero a vantare le loro gesta. I soldati pure erano senz’armi, rivestiti di seta, e