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I.
Addossati gli uni agli altri, in un angolo di Roma, oscuro e malinconico, che il corso del fiume separa da Trastevere, abitano da tempi remoti, quasi separati dal resto della umanità gli Ebrei di Roma. Sono dedicati ad essi queste pagine, che l’autore ha ricavato parte da scritti antichi e moderni, parte da comunicazioni orali degli Ebrei stessi. Desso ha visitato ripetute volte il ghetto di Roma, e fra le tante rovine della città eterna, la popolazione di quello gli parve la rovina la più meravigliosa, e come la sola tuttora vivente dell’antichità, degna grandemente di essere studiata.
È probabile che la maggior parte dei forastieri che visitano i monumenti di Roma, si saranno fermati alquanto commossi davanti all’arco di trionfo di Tito nel foro; e ne avranno compreso chiaramente il senso, imperocchè la storia degli Ebrei, e di Gerusalemme la città loro, è in certo modo storia patria anche per i Cristiani, e tale che dessi pure riguarda. Si scorge ancora al sommo di quell’arco il sacrificio trionfale che raffigura il fiume Giordano, un vecchio portato sur una barella e nel vano dell’arco stesso sotto il quale nessun Ebreo passa mai, si scorgono tuttora scolpiti quali trofei della vittoria di Tito, gli oggetti tolti al tempio di Gerusalemme, il candelabro a sette braccia, la tavola aurea, il forziere contenente il libro della legge, e le trombe di argento per l’anno del giubileo. Sono trascorsi circa mille ottocento anni dacchè venne innalzato